di Sebastiano Gulisano
Quando avevo vent’anni, i fascisti mettevano le bombe nelle piazze e nelle stazioni, sui treni e nelle banche. I brigatisti rossi sequestravano dirigenti di fabbriche e uomini politici. Fascisti, brigatisti e mafiosi ammazzavano magistrati, politici, amministratori, poliziotti, carabinieri, giornalisti e chiunque rompesse seriamente i coglioni all’establishment.
Ogni giorno, era un bollettino di guerra.
Malgrado ciò, se volevi entrare alla Festa dell’Unità, al massimo ti chiedevano un piccolo contributo all’ingresso e t’appiccicavano al petto l’adesivo della Festa. Anche se c’era il comizio di chiusura di Berlinguer.
Oggi, che di anni ne ho quasi sessanta, i fascisti so’ classe dirigente, i brigatisti sono tutti o quasi in galera, i mafiosi si sono presi lo Stato. Morti nelle strade non ce ne stanno più. Al massimo, ogni tanto, ammazzano qualche ragazzo nelle stazioni dei carabinieri, nei commissariati di polizia o nelle carceri e ci dicono che è scivolato e ha battuto la testa.
Oggi, se vuoi entrare alla Festa dell’Unità devi superare continui sbarramenti militari, devi sottoporti al metal detector (sempre che tu non sia sgradito all’establishment e, in tal caso, non puoi entrare) e, se c’è Renzi, devi averci l’invito. Altrimenti, non si entra.
Per la sicurezza, dicono. Perché ormai la classe politica “dirigente” è corpo estraneo rispetto al Paese, dico io.